CALDESI, Vincenzo
Dizionario Biografico degli Italiani
- Volume 16 (1973)
di Giuseppe Monsagrati
CALDESI, Vincenzo. - Nacque a Faenza il 2 ag. 1817 da
Clemente, pittore e ceramista, e da Marianna Angiolini, in una famiglia che già
aveva offerto prove di acceso liberalismo. Nei moti del '31 il C., grazie alle
agiate condizioni familiari, riuscì a soccorrere alcuni patrioti compromessi
nelle cospirazioni con aiuti in denaro. Il contatto con gli ambienti più
radicali della sua regione lo avvicinò agli ideali della Giovine Italia, anche
se non risultano il momento preciso né la consistenza effettiva della sua
adesione: il Protocollo della Giovine Italia registra il nome del C. a partire
dal 1841, quando si recò in Francia e in Inghilterra per rinsaldare i legami
con le centrali estere. Già nei due anni successivi sorgevano i primi dubbi
sulla sua ortodossia mazziniana; il fatto che nel 1842 il C. fosse legato a N.
Fabrizi e alla sua organizzazione può attestare che il distacco dal Mazzini era
in qualche modo avvenuto, e aveva avuto origine dalla critica ai suoi metodi di
lotta. In questi anni il C. diveniva uno dei protagonisti del confuso e
velleitario mondo delle cospirazioni di Romagna, organizzatore instancabile di
complotti e di imprese che nella maggior parte o non andarono oltre la
progettazione o si spensero subito dopo un incerto avvio.
Nella primavera del 1843 curava la
preparazione di un moto che avrebbe dovuto scoppiare nel luglio: scoperto, si
rifugiò in Toscana, ma già nel settembre tornava in Romagna nel tentativo,
fallito, di attuare col Ribotti a Imola un colpo di
mano contro tre cardinali, l'Amat, il Falconieri e il
Mastai Ferretti. L'anno seguente era di nuovo in
Toscana, tutto teso a finanziare arruolamenti di volontari e rifornimenti di
armi: un lavoro destinato a sfociare nelle clamorose iniziative insurrezionali
del settembre 1845, che avrebbero comunque visto il C. giungere in ritardo sia
alla sollevazione di Rimini sia ad un'azione sviluppatasi presso il confine
tosco-romagnolo. Da Firenze, dove si era rifugiato dopo questi ultimi
insuccessi, il C. si portava in Francia con il fratello Leonida (1846);
trascorsi pochi mesi, grazie all'amnistia concessa da Pio IX, rientrava a
Faenza, dove rilanciava l'attività settaria, impostando la sua azione
soprattutto sulla composizione delle discordie che dividevano le varie tendenze
dello schieramento liberale.
L'avvento di Pio IX aveva impresso nuovo
fervore al movimento indipendentista, che si andava ingrossando per il
confluire dei delusi del mazzinianesimo; e il C. si spostava ora su posizioni
meno radicali, pur restando convinto sostenitore della lotta armata. Tanto che
sul finire del 1847 - era frattanto stato nominato consigliere comunale ed era
entrato nella guardia civica - collaborava col Fabrizi per l'organizzazione di
un corpo militare che, partendo da Roma, avrebbe dovuto entrare negli Abruzzi
per colpire la parte settentrionale del Regno delle Due Sicilie: ma, con la
concessione dello statuto da parte di Ferdinando II, il progetto non ebbe più
seguito.
Colmo d'entusiasmo per Pio IX, nel marzo
del '48 il C. si arruolava come capitano nel battaglione di volontari faentini;
nominato dal Durando ufficiale d'ordinanza, veniva inviato a Comacchio dove il
30 marzo otteneva la resa del presidio austriaco. Nel maggio giungeva a Vicenza
e prendeva quindi parte alla difesa della città, meritandosi la promozione al
grado di maggiore; tre mesi dopo si recava a Venezia ed entrava nello Stato
Maggiore del generale Ferrari. Uno strano episodio lo vide intanto protagonista
a Comacchio nel settembre del 1848, quando con A. Masina proclamò una
fantomatica repubblica. Poi gli avvenimenti dello Stato pontificio lo
condussero a Roma, dove l'11 dicembre apprendeva di essere stato prescelto dal
collegio di Faenza e Russi a sostituire nel Parlamento romano il Farini: cinque
giorni dopo però, in una lettera ai suoi elettori, il C. declinava il mandato
sostenendo che la fuga del papa aveva praticamente svuotato di ogni potere gli
organi di governo e che era necessario creare in loro vece una Costituente sul
tipo di quella auspicata dal Montanelli.
Fu nuovamente eletto all'Assemblea
costituente, il 23 genn. 1849, quarto nella provincia di Ravenna. A Roma
assisteva alla proclamazione della Repubblica; quindi, per missioni di carattere
militare, si recò prima a Velletri, poi, dopo l'ingresso degli Austriaci in
Ferrara, a Bologna. Tornato a Roma, dal Triunivirato
fu destinato, con V. Cattabeni e Cermischi,
a far parte della commissione delle barricate, cui non poté dedicarsi essendo
stato inviato, subito dopo, nell'Anconetano per organizzare la resistenza agli
Austriaci. La missione non ebbe successo, e il C. rientrò a Roma in tempo per
assistere agli ultimi assalti delle truppe francesi: il 7 luglio lasciava
allora la città e, dopo alcune tappe a Genova, Ginevra e Bruxelles, si fermava
a Parigi, dove gravitò intorno ai circoli dei dissidenti che facevano capo ai
federalisti Cernuschi e Ferrari. Ripartì dopo che il
colpo di Stato di Luigi Napoleone gli fece vedere in Londra un rifugio ben più
sicuro.
A Londra visse fino al 1859,
mantenendosi su posizioni molto critiche verso le scelte di Mazzini; questi,
come risulta dall'Epistolario, si scagliò più di una volta contro il C.,
accusandolo di aver tradito la causa repubblicana. I rapporti tra i due non
furono troncati - anche perché Mazzini ricorse spesso al C., che col fratello
Leonida e con Mattia Montecchi aveva dal 1855 aperto un fortunato studio
fotografico, per ritratti e altre simili commissioni -ma certo si raffreddarono
molto, soprattutto dopo le delusioni del 1853 che permisero al C. di accusare
il Mazzini di avventurismo.
Il biennio 1859-60 sancì definitivamente
questo distacco, anche se dopo Villafranca Mazzini compì un ultimo tentativo
per servirsi del C.; ma questi aveva ormai accettato le tesi della Società
nazionale, soprattutto per il fascino che su di lui esercitava la figura di
Garibaldi del quale era divenuto, grazie al prestigio ed al seguito di cui
ancora godeva in Romagna, un prezioso collaboratore; e come esponente del
comitato bolognese della Società nazionale, il C. si recò il 22 maggio 1860 a
Genova nel vano tentativo di appianare il dissidio sorto tra il La Farina e il
Bertani.
Dal 1860 il C. si inserì decisamente nel
movimento garibaldino. Nel giugno salpò da Genova con la spedizione Medici e si
aggregò in Sicilia a Garibaldi che lo nominò aiutante di campo; l'unica
operazione militare cui prese effettivamente parte fu la spedizione che,
guidata da Nullo, puntò a metà ottobre su Isernia per debellarvi un focolaio
reazionario, senza peraltro riuscirvi. Dimessosi dall'esercito dopo Teano, il
C. tornò in Romagna dove fu ancora uno dei maggiori esponenti del movimento
democratico, al quale dedicò un'attività continua nonostante la grave malattia
che già lo affliggeva e che nel 1862 gli impedì di seguire Garibaldi
sull'Aspromonte. Nel 1866, arruolatosi col grado di maggiore, fu inviato in Val
Camonica; il 4 luglio, comandando il battaglione che subiva a Vezza d'Oglio un
grave rovescio, non fu esente da colpe, solo in parte giustificabili con le
precarie condizioni di salute. L'anno seguente era ancora con Garibaldi, al
quale portava l'ausilio di una colonna di romagnoli che guidò due volte
all'assalto di Monterotondo; inviato quindi in missione politica a Firenze e a
Bologna, non poté partecipare alla battaglia di Mentana e, disciolto il corpo
di volontari, riprese in Romagna l'attività politica e la propaganda per la
liberazione di Roma. Morì a Firenze il 7 ag. 1870. Il Carducci gli dedicò una
poesia chiamandolo "leon di Romagna".
Fonti e Bibl.: Oltre a Cospirazioni di
Romagna e Bologna nelle memorie di F. Comandini…
(1831-1857), a cura di A. Comandini, Bologna 1899,
pp. 116-123 (da queste pagine è tratta la biografia del C. in Diz.del Risorg. naz., II, s. v.),
si vedano M. Cattani, V. C. e i suoi tempi, Bagnacavallo 1922; D. Tosi, V. C.
"leon di Romagna", in Boll. del Museo del Risorg. di Bologna, II (1957), pp. 233-248; Id., V. C.dalle giornate del 48 alla
campagna del Trentino, in Studi romagnoli, IX(1958), pp. 297-335 (con appendice
documentaria). Per i rapporti del C. con Mazzini si veda - oltre al Protocollo
della Giovine Italia (Congrega centrale di Francia), I-VI, Imola 1916-22, ad Indicem, e ai voll. XX, XL, XLIX, LXIII, LXVIII, ad Indices (e anche passim)dell'Edizione
nazionale degli scritti di G. Mazzini, Epistolario - F.Della
Peruta, Idemocratici e la
rivoluzione italiana, Milano 1958, ad Ind.;e P. Zama, Ildissidio
C. Mazzini nelle testim. mazziniane, in Rassegna
storica del Risorgimento, LIV (1967), pp. 594-614. Ai rapporti con N. Fabrizi
si riferisce una lettera inedita custodita al Museo centrale del Risorgimento,
Fondo Fabrizi, b. 515/40/1. Per il biennio 1848-49: N. Tommaseo,
Venezia negli anni 1848 e 1849…, Firenze 1931, I, ad Indicem;F. Orsini, Lettere,
a cura di A. M. Ghisalberti, Roma 1936, ad Indicem; Le Assemblee del Risorgimento, III, Roma, Roma
1911, pp. 88, 99, 149, 182, 376, 557; G. Gabussi,
Memorie per servire alla storia della rivoluzione negli Stati Romani…, Genova
1851, III, pp. 385 s., 470; G. Finali, Memorie, con introduz.
e note di G. Maioli, Faenza 1965, ad Indicem.Sul
soggiorno londinese: E. Montecchi, M. Montecchi nel Risorg.
italiano, Roma 1932, ad Indicem;e
P. Zama, Mazzini e i suoi ritratti. I fratelli Caldesi e D. Lama fotografi, in
Studi romagnoli, XVIII(1967), pp. 417-419. Sui
rapporti con la Società nazionale: A. Dallolio, La
spedizione dei Mille nelle memorie bolognese, Bologna 1910, ad Indicem.Sul fatto di Isernia: A. Mario, La camicia rossa,
Milano 1875, pp. 183-223. Sulla guerra del 1866: G. Cadolini,
Ilquarto reggimento dei volontari ed il Corpo
d'operazione in Valcamonica nella campagna del 1866. Ricordi, Firenze 1867, pp.
24-48; G. Castellini, Pagine garibaldine, Torino 1909, pp. 264-308. Sulla
campagna nell'Agro romano: E. Valzania, Monte
Rotondo, in Mentana. Cenni storici sulla campagna del 1867per l'indipendenza
d'Italia e libertà di Roma, Milano 1874, pp. 27-40; R. Tosi, Da Venezia a
Mentana (1848-1867).Impressioni e ricordi…, Forlì1910,
pp. 129 s., 134 s., 137-141, 169, 171 s., 175 ss., 191; G. Sacerdote, La vita
di G. Garibaldi, Milano 1948, ad Indicem.Sui
riferimenti al C. in scritti letterari si vedano infine P. Zama, V. C. negli
scritti di Garibaldi e di Carducci, in Camicia rossa, X(1934), pp. 113-115; e
G. Carducci, Opere (ediz. naz.), III, pp. 76 s.